Tempi che hanno la polvere dei ricordi, il fascino della memoria che ci sovviene per allontanarci da quello che nefasto ed oscuro turba le nostre coscienze e, senza tanti perche’, ci immola sulla strada lenta che conduce all’annullamento edonistico della vita. Non basta questa premessa a definire un sogno, un sogno svanito che potrebbe essere ancora attuale, oggi, domani, ricordare la magia di un luogo a tutti caro, amato, desiderato con ogni intento ma mai rispettato abbastanza: Villaggio Mancuso. Ancora oggi questo luogo evoca un qualcosa di arcano e prodigioso nello stesso tempo, una parola che è suono, ninna nanna, sinfonia di pace e meditazione per i suoi villeggianti. Adagiato sull’Altipiano Silano, in una posizione molto felice a ridosso del Parco Nazionale della Sila e circondato da una catena di lenti declivi, e corsi d’acqua che percorrono nella quiete dei pascoli un lungo tratto fino a ridiscendere a valle, esso ha rappresentato per la collettivita’ Catanzarese uno dei ritrovi turistici piu’ ambiti e ricercati degli ultimi cinquant’anni, immerso come oasi di verde e ristoro per tutti coloro che desiderassero, specie in estate, un fresco ricovero lontano dalla calura cittadina. Lo ricordo, appena ragazzo negli anni settanta, come centro pulsante della Sila Piccola, immerso candidamente nelle sue casette di legno colorate, dai tetti spioventi, e fiabesco luogo d’inverno quando la neve abbondante ricopriva di bianco ogni cosa, nel silenzio ovattato dell’inverno che, come madre premurosa, intendeva preservare le vite dei suoi numerosi e preziosi abitanti in un dolce e lungo letargo. L’aria salubre, l’odore degli abeti e dei pini larici e quello dei camini fumanti nell’aria gelida e cristallina, davano una connotazione unica al Villaggio, emozioni e sentimenti che solo la nostra memoria puo’ sfiorare, senza peraltro offuscarne la purezza e la bellezza. L’incantevole Sila colpiva chiunque avesse, nel guardarla, gli occhi di un bambino, di una sposa innamorata, di una madre che guarda il figlio sposandone l’immagine a lei cara e fondendo quei sentimenti nel piu’ puro dei gesti. Il nostro sguardo meravigliato era colpito da quella ricchezza, dalle forme del paesaggio che lievi e tondeggianti allenavano la vista fino all’ultimo colle, oltre ai laghi e alle nuvole bianche che rincorrevano le loro sagome riflesse. Nel dominio incontrastato dei boschi, avveniva la fusione, la simbiosi tra l’uomo e la natura, una sorta di rispetto reciproco, una rara forma di concordato ecologico che sottraeva ogni bene terreno alla indole di solito aggressiva della specie umana. In quegli anni difficilmente la Sila veniva lasciata abbandonata a se stessa, come è facile riscontrare oggi, il solco che il tempo ha tracciato non potra’ cancellare un’ansia nel visitatore, la stessa ansia pregna di dolore, rabbia, insofferenza per un posto scalfito, abbrutito , innegabilmente violentato dall’uomo che ha deturpato la sua stessa anima. Un mare di cemento ha inghiottito il nostro sogno, separato la nostra coscienza pura e idealistica dal suo naturale approdo, dal mare di sentimento che si nutriva per un posto a tutti caro, che regalava emozioni e gioia senza far perdere il sapore delle cose semplici che ricercavamo nella quotidianita’.
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